Con i versi di una ballata, che a stento riescono a contenere l’impeto affabulatorio, Friedrich Dürrenmatt, come già nella "Morte della Pizia", si inoltra sul terreno del mito. Il suo minotauro, creatura terrifica e insieme innocente, imprigionato in un labirinto che è un intricato gioco di specchi, si dibatte alla ricerca di una via d’uscita, in primo luogo da se stesso. E nel turbine di immagini in cui il mostro si perde, e si scopre, il mito rifulge di nuova luce.