Dopo aver fluttuato per ore nel cielo notturno, la mongolfiera che l'ingegnere trentaduenne Winfried Freudenberg aveva costruito per fuggire da Berlino Est si schiantava al suolo nel giardino di un'abitazione vicino al Grunewald, a Berlino Ovest. Freudenberg fu l'ultima delle «vittime del Muro». Infatti, solo pochi mesi dopo, il 9 novembre 1989, quello che per trent'anni era stato l'emblema del totalitarismo si sgretolava come d'incanto. Si disse allora che la Storia si era rimessa in moto. E con la Storia, anche la città simbolo del Novecento.
In realtà, Berlino non si era mai fermata. Per tutto il ventesimo secolo, la città «è stata al centro di un mondo convulso, seducendo e tormentando, a fasi alterne, l'immaginario internazionale». Dal trauma della Prima guerra mondiale al crollo della Repubblica di Weimar, fino all'ascesa del nazismo, dal rogo dei bombardamenti alleati alla costruzione del Muro, la città aveva attraversato un vortice di tumulti e passioni, di creatività e abomini. Irrequieta e cosmopolita, vitale e provocatoria, questa metropoli «giovane e infelice», secondo la celebre definizione di Joseph Roth, aveva sperimentato tutto ciò che il secolo era stato in grado di concepire: l'irruzione dell'industria moderna, i laboratori della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica, l'architettura del Bauhaus, i capolavori del cinema espressionista, la grande letteratura, la sperimentazione artistica; ma anche la miseria dei quartieri popolari colpiti dalla crisi economica, la violenza ideologica che insanguinava le strade, le pire dei libri, la persecuzione e lo sterminio. E poi, dopo le ceneri del Terzo Reich, la repressione del regime comunista e l'angoscia di essere il punto d'innesco di un possibile conflitto nucleare.
Un passato ingombrante, stratificato, onnipresente, quasi impossibile da sopportare. Eppure, a ogni curva della Storia Berlino e i berlinesi hanno dimostrato una straordinaria capacità di ricominciare da capo. Senza la paura di mostrare le cicatrici.
Già autore de Il fuoco e l'oscurità. Dresda 1945, McKay traccia qui un magistrale ritratto della città. Un racconto che - grazie a una vertiginosa pluralità di fonti e suggestioni, dall'arte al cinema, dall'opera alla letteratura, dalla scienza all'architettura - svela una città ipnotica come mai era stato fatto prima.